NOME: Benito, ma per gli amici Benni COGNOME: Modoni NATO: a Bologna il 20 di Maggio 1935 ALTEZZA: 175cm, ma ormai... un pò più basso... PESO: 51kg
Benni, quando inizia la tua Avventura Verticale?
A dire il vero, nella premessa d'obbligo, di verticale c'è ben poco. È però vero che per il fatto stesso d'arrivare in cima a Monte Adone con la bicicletta in spalla si passava per alpinisti (non c'erano strade).
A 15 anni io e il mio amico per la pelle Luigi Zuffa (detto Cita, la scimmia di Tarzan, per via dell'abilità con cui s'arrampicava sugli alberi di P. Aldrovandi) battiamo a tappeto, con mezzi di fortuna, le grotte del bolognese.
Nel '53 (sono del '35), stanchi del fango e desiderosi d'allargare il campo d'azione, veniamo a contatto con la Palestrina di gesso di M. Calvo su a Croara. Non è cosa da poco, perché in quella mini-falesia alta 8-9 metri e lunga 100, si confrontano il fior fiore dell'Alpinismo Bolognese. Per altro, è l'unica Palestra attiva dell'intera Emilia Romagna.
Una volta inseriti nell'ambito del CAI e assimilato quel poco che la tecnica del luogo offriva, Luigi ed io allarghiamo il campo. A breve, in ordine cronologico e sempre in bicicletta, seguono:
ROCCHINO- Rocca di Cavrenno al Passo della Raticosa. MONTE ADONE - Contrafforte pliocenico. SASSI DI ROCCA MALATINA - valle del Panaro. MONT'OVOLO - Campolo, sopra la valle del Reno. BADOLO alto, basso, medio. CASTELLACCIO - Brento, valle del Savena. FOSSO RAIBANO - Battedizzo.
Al Castellaccio e Fosso il mio grande amico Luigi non c'è più...
Siamo forti in staffe (artificiale) e proprio nell'impegno del chiodare a mano partendo dal basso, piano piano affiniamo la tecnica dell'arrampicata e la disinvoltura in parete.
Le Vie al Rocchino, M. Adone e Badolo vengono aperte del basso. Nulla di eroico: a quei tempi il gioco era quello. Scarponi, corda di canapa di 30 metri, moschettoni in ferro, nodi in vecchi spezzoni di corda al posto dei nut, e tanta, tanta bicicletta.
Leggiamo, presi dalla biblioteca del CAI, vecchi trattati d'alpinismo e prendiamo contatto con: assicurazione a spalla: corda sotto l'ascella e sulla spalla, corda doppia: sotto la coscia e sulla spalla manovra a forbice: per la progressione in artificiale (due corde) progressione su neve e ghiaccio: piccozze col manico in legno e ramponi con stringhe in pelle.
Siamo pronti.
Ma vedi, più ne parliamo più mi rendo conto che tutto questo viene accolto come un aneddoto, tutt'al più con qualche però di ammirazione. Ma per quei tempi essere così non voleva dire essere in gamba più di altri: prendere o lasciare.
Sarà poco stimolante per te che l'hai vissuto, però a noi rimane la curiosità di com'era allora, dai sbottonati. Quella di Cesare Maestri...
O.K.
Quando C. Maestri aprì la Via in artificiale sul paretone della Roda di Vael, come secondo di cordata aveva il Capitano degli Alpini paracadutisti. Uno dei suoi Allievi Ufficiali era Cita (Luigi).
Chi, come me, ha più d'un grappolo d'anni sul groppone ed ha frequentato l'ambiente alpino d'allora, ricorda l'abilita del Cesare di portare l'acqua al suo mulino. Polemiche e rimostranze, unite ad una particolare maestria nell'accattivarsi stampa e televisione, lo portarono ad una invidiabile ribalta. Non per niente era figlio d'arte (teatro). Per essere in gamba lo era veramente. Saliva e scendeva in solitaria e senza corda alcune delle vie più impegnative d'allora.
Tenendo fede all'estro del mettersi in mostra, cosa ti va a pensare? Troppo comodo andare a ripetere la Via che ho fatto con i chiodi già in loco; provate a farla come l'ho trovata io. E così dà al suo secondo, il Capitano Baldassari, un crick da 500 Fiat con l'incarico di toglierli, compreso le soste.
Detto e fatto.
Una settimana in parete, elicotteri, stampa, primi piani con Zoom da 1000 sulle mani distrutte dalla fatica, ghigno sofferto... Un successo.
Quando vedo Luigi, in una delle rare licenze, lo sommergo con richieste, spiegazioni... Lui sghignazza in sordina poi tranquillo dice: guarda che in staffe siamo più bravi noi.
Maestri aveva lasciato la parete come vergine.
In quel periodo lavoravo in fabbrica. Se a Pasqua ai due giorni di festa ne aggiungo uno di malattia e si parte di sabato pomeriggio, che si fa, andiamo?
C'era tanta neve su al Passo di Costa Lunga. Il viaggio in Lambretta più un Cinquino murato di roba e il Rifugio Paolina chiuso. Per fortuna è con noi il buon Gelao, ma anche con lui portare a ridosso della parete l'intero carico con quel ghiaione di 800 metri di dislivello è massacrante. Piantiamo la tenda alla luce delle pile, a ridosso di un enorme masso a tetto.
Freddo bestia, attacchiamo all'alba con le pile frontali.
In un giorno e mezzo, con bivacco in parete su amache fatte in casa, vinciamo un terzo della via. Ci guardiamo in faccia: il tempo è scaduto, io debbo tornare in fabbrica e Luigi al Reparto. Contiamo sull'etica alpinistica: appena è possibile si torna alla carica e si finisce.
Già, "etica", altro che Grande Fratello.
Uno con i piedi ben piantati per terra si prende quest'etica e ce la mette... Si chiamava Donato Zenit, faceva il medico in Val di Fassa. Non gli sembra vero di trovare quella manna già bella e pronta. Senza chiedere permesso si infila sui nostri chiodi e finisce la via in un tempo minore di Maestri. Campane a stormo, voli di rondini che portano ghirlande fiorite fra i cappelli di splendide fanciulle e... e noi cosa, padano rincitrullito, rinquaglionito che non sei altro. Ma stattene nelle tue nebbie a tirar seghe ai cani randagi. Morale? C'est la vie...
La curiosità però di andare a vedere cos'aveva combinato lo Zenit c'era, così alle 4 di una fredda mattina di fine agosto siamo di nuovo sulle staffe e alle 8 di sera siamo fuori. Prima ripetizione assoluta senza bivacco.
I mesi passano, l'allenamento non manca, e cosa ti tira fuori Luigi? "Che ne dici se facciamo l'invernale su quella parete del mona"? Ho detto di no. Peso poco più di 50 chili e sono alto 1,75 cm. Manco a parlarne di quella eclettica varietà di vestiario termodinamico in uso oggi. Maglietta maglietta/maglione maglione/giaccavento giaccavento/pantaloni più mutandoni mutandoni/calzettoni calzettoni: si chiama vestirsi a "cipolla". Una volta gli inverni erano veri, bastava avere il fisico: io non l'ho mai avuto.
Poi Luigi è andato lo stesso. C'era Nino con lui. Nino Bombassei, un carabiniere originario di Auronzo di stanza a Bologna. Un fisico da fare invidia. Attaccano che è buio, freddo bestia, pile con cambio batteria, guanti trovati in Piazzola... E muoviti che mi sto gelando il culo! Con l'ultima luce sono fuori. Cristo che impresa!
Poi il grande problema: la discesa. Niente ramponi nè piccozza, nessun punto di riferimento: neve, buio, freddo... Pochi mesi prima c'eravamo fatti un mazzo da donna cannone, per venirne a capo. Siamo arrivati al Paolina alle 2 di notte.
Prima Luigi. Poi Nino nel tentativo di soccorrerlo scivola pure lui; benchè ferito riesce a dare segnali con la pila. È la notte di capodanno. Recuperato il giorno dopo dal Soccorso Alpino, passa poi lunghi giorni in ospedale. Una grave infiammazione ai reni ha infine ragione della sua forte fibra...
Ma è vero che a quei tempi andavate in Dolomite in bicicletta ?
Come no! Ma anche al mare e ai laghi: andata e ritorno in giornata.
Per le Dolomiti c'era il problema del carico. Tutto dietro: olio, sale, pasta, zucchero, candele, il petrolio per il fornellino che ti immerdava anche quello che non si può dire perché l'alcool costava troppo. S'andava sui trenta chili e passa, non c'era nulla di leggero. Ecco perché si partiva di notte. Come montavi sul sellino per le prime due ore la bicicletta andava dove voleva lei, avevamo bisogno della strada sgombera, poi piano piano ci prendevi la mano, lo zigzagare diminuiva, ed era fatta. Tenda senza fondo cucita in casa, due panni del letto di casa cuciti anche quelli, e una cerata al posto del materasso. Quando ci accampavamo, se avevamo la fortuna di trovar legna si accendeva un bel fuoco e quando era ora di andare a letto si ruzzolava i massi belli caldi sotto la tenda e... beh, non durava tanto.
Il problema vero erano i soldi. In quel periodo abitavo vicino a P. Aldrovandi, via Begatto. Tempi duri. Spesso il pane per Luigi lo portavo io, lui aveva altri 4 fratelli. Se il copertone della bici faceva il buco, si metteva il nastro isolante e... vai!
Quando mio padre mi regalò la bici nuova (a volte i miracoli fanno male) l'ho tenuta in casa per due settimane perché mi vergognavo rispetto a tutti gli altri che manco riuscivano a sognarla.
Perchè nomini spesso il luogo di Fosso come "BOSCO CHE PARLA"?
Mi sono avvicinato a Fosso nel tardo autunno quando già la maggioranza delle foglie erano cadute.
Non sono stato accettato subito. Il Gheppio mi faceva capire ad alta voce il suo disappunto e l'Allocco, che aveva il nido sulla Placca delle Meraviglie, cercava il più possibile di rendersi invisibile.
A parte loro e il frusciare delle lucertole, il silenzio era assoluto. Quando una foglia cade dall'alto su una parete, rimbalza con pause di silenzio ed anche questo è rumore perché desta l'aspettativa del poi e la cerchi e se anche non vedi segui con attenzione il suo canto del Cigno. Sei solo e ti piace esserlo, il concetto di suono è desueto, scandisce il silenzio. È allora che ascolti il Bosco che parla.
Quale è il tuo rapporto con le Vie di alta difficoltà?
Ognuno di noi ha delle qualità che predominano e che condizionano il cosiddetto "fare". Marcello lo esprime con le dita, Pietro con quegli appoggi laterali che solo lui sa inventare (anche Genova), io con una conoscenza alpinistica generalizzata. Poi subentra l'esperienza.
Quando mi calai sulla "Cengia d'alabastro" per la prima volta, ero già con la martellina in mano pronto a modificare, creare, ma non sapevo da che parte cominciare, qualcosa mi tratteneva: poi capii. Aveva già tutto, bastava una pulizia sommaria e l'attesa di qualcuno che la sapesse leggere.
Quel "qualcuno" a quei tempi veniva chiamato "il Cinno". Ora è tornato Luca. La sua valutazione fu 8a...
Il risultato finale di una via risente delle caratteristiche dell'apritore, ne ricalca lo stile e, non ultimo, la preparazione fisica. Oggi non saprei valutare con la stessa obiettività il sassolino, lo svaso appena accennato. Non ho più né l'elasticità né la potenza per esprimere un giudizio consone al movimento.
E la tua Storia a Fosso come inizia?
Marcello (Ferioli) mentre stava mettendo a posto le vie di Corticelli inizio anni '90 insisteva a dirmi: "dai vieni a Fosso che cè un sacco di roccia buona da far vie, dai!". Io all'inizio non ci credevo. Poi decisi di far un salto, giusto per fare una ricognizione. E mi resi conto che aveva ragione.
Le prime vie sono apparse nella "Placca delle Meraviglie", dopo aver steso un cavo d'acciaio. Se non sbaglio fu "Meditazione Zen" la prima. Lí ho scavato veramente poco. Ma prima di chiodare le prime vie, ho perso circa 6 mesi (!!) per impostare un acesso ed una sentieristica decente attorno ai settori "Placca delle Meraviglie", "lo sblisgo" e "sogno di un viandante".
Ti ho detto prima che forse la prima via fu Meditazione Zen perché all'inizio stendevo il cavo e poi le facevo quasi tutte insieme! Le plachette di legno che vedete sulla base delle vie, ci hanno messo 3 anni per vedere la luce del sole! Le scritte originarie (e non quelle con il penarello di adesso) erano fatte con uno stilografo che bruciava, segnando e scrivendo sul legno. Un'opera d'arte che veniva sigillata con 4 mani di lustro e olio conservante! Questo lavoro lo facevo nella capannina e le plachette le facevo asciugare sul terazzino della capannina.
Riguardo la chiodatura scrivi questo: A fosso ho chiodato fin dall'inizio con delle ferline piccole invece dei ferloni di Badolo. Era per una questione Etica ma anche estetica. Bisognava frequentare il Bosco in punta dei piedi.
Anche per fare la Capannina. Abbiamo fatto molta fatica. Mi ricordo il Mitico Paolo (Baraldi, il Babbo di Luca). C'era molto lavoro da fare ancora ma nessuno si è tirato indietro. Ci capivamo subito. Bastava uno sguardo e c'era intesa.
Hai intenzione di chiodare ancora a Fosso?
... E dove? Fosso si è sempre differenziato da Badolo per la migliore qualità dell'arenaria, non solo, ma come struttura ha quei sassolini, quegli anfratti, quelle vene... Capisci? Cè già una traccia, un indirizzo. Basta dare una aggiustatina qui, una martellata lì...
C'era una ragione se in tutti questi anni la falesia dopo il Belvedere non era mai stata presa in considerazione: la qualità scadente dell'arenaria. Ricorda tanto la zona bassa di Badolo, quella di Pietro tanto per intenderci, alla destra della Rosa.
Attualmente c'è una situazione un pò anomala. Tu Spiro conosci a fondo il potenziale della palestra ed i personaggi che la frequentano. Marcello da tempo è sotto pressione ed usa Fosso come valvola di compensazione; ben venga, chi più chi meno l'abbiamo fatto tutti. Il risultato però sono vie a tappeto, una ogni metro su materiale a dir poco scadente. La squadra che si è tirata dietro è forte nel disgaggio e quello che si vede non è tanto in armonia con il resto della palestra.
Manca il senso dell'etica, del sentiero curato, della palestra come luogo gradevole. Per loro è una valvola di sfogo impostata sul "fare". Non metto in dubbio la qualità delle Vie, ma di quell'aggiungere all'aggiunto che toglie respiro fra un Via e l'altra.
Cosa significa per te "Il filo d'Arianna" ?
Una premessa: sarà un pò lunga ma mi piace tenere una penna in mano e ne approfitto.
La base caratteriale, la "personalità", a sei anni è già stabile, te la porti dietro per sempre a patto di sfighe che non auguro a nessuno. La formazione di questo carattere il bambino l'acquisisce smussando gli angoli, prendendo scorciatoie, vuole essere lodato, desiderato, scansare le punizioni e via dicendo. Questo adattarsi non significa esprimere il meglio di se, ma bensì adeguarsi alla realtà che lo circonda. Il bello è che va bene così. Deve andare d'accordo con la maestra, i genitori, i compagni... e perché no, con due occhioni azzurri e capelli biondi.
Se si ha la fortuna di potere soddisfare i bisogni primari, le regole che la natura elabora sarebbero più produttive di quelle che invece l'uomo ha messo in campo, ma non è così. Ciò nonostante lo sforzo intellettivo non necessita di particolari attitudini nell'adattarsi al sociale. La corteccia cerebrale adibita a questa realtà lavora in superficie, non elabora particolari strategie; si serve dell'"IO ", e cioè di quella forza lavoro costruita da noi medesimi per affrontare la vita di tutti i giorni.
Ricordo però che la struttura dell'"io" è fatta di quelle scappatoie, di quei compromessi di cui sopra; non c'è stato bisogno di andare a scavare nella profondità della nostra essenza dove alberga il "se". Il mondo è superficiale come pure le sue regole: e lo stesso "io".
Ma....
Ma purtroppo o per fortuna, esiste in noi da sempre il "se". Ti alzi incazzato / ti alzi contento. Il mondo è di merda / il mondo è meraviglioso.
In quei 20 secondi che l'ascensore impiega per depositarti nel pianerottolo di casa risolvi improvvisamente una serie di enigmi che da sempre ti sono risultati ostici... e ti rimane il tempo per pensare: ma com'è lento oggi l'ascensore.
Spalanchi il portone di una chiesa, rimani inchiodato ad ascoltare una fuga di Bach... e quello dietro ti spinge e dice: vai a letto prima alla sera. Ti metti in piedi nella stanza in assoluto silenzio... il respiro assume connotazioni diverse, una gestualità che non ti appartiene ti modella, scioglie, modifica.... Se lo cerchi non esiste, se lo desideri si fa nebbia: è il "se", il vero potenziale all'interno della tua Psiche tenuta in ombra per necessità perché è più importante l'armonia con le regole sociali che non picchi di genialità destinati ad un mero naufragio...
Generalmente si rivela nella sofferenza vera, quando l'angoscia t'attanaglia e non ti lascia via di scampo: allora emerge, ne prendi contatto, volente o nolente esci da quella normalità impostata dall'"IO" e... non puoi più farne a meno. La palla è lanciata, il "gomitolo" che è nell'inconscio (Il filo d'Arianna) aspetta solo di essere preso per il bandolo e andare alla ricerca di: "TEEESOORO...MIO MIO TESOOORO" (nel Signore degli Anelli quando finalmente Smigol se ne impossessa) il centro della Creatività, della Potenza... dell'Autodistruzione... se la finalità è indirizzata ad abbellire l'ego. Il pozzo che racchiude il "se" non è senza fondo, contiene sfumature, sensazioni, un patrimonio genetico che ancora non è emerso per mancanza di necessità, ma è pur sempre farina tua raccolta dai cinque sensi nell'arco dell'intera esistenza e quasi sempre in incognita. Solo e unicamente tua; non lo dimenticare.
Nel sentiero sopra Fosso che porta il nome "Il filo d'Arianna", il silenzio t'appartiene. È un gomitolo lanciato che desiderio e curiosità vogliono seguire e capire. Seguilo per le infinite tappe che hanno scandito il corso della vita, quello che l'"io" ha costruito suggerendo scorciatoie e vie di fuga: cerca di ricordare quante volte il "se" si è affacciato.
Il suo vero compito è di mantenere quello stato di quiescenza dove albergano apatia, sottomissione ma soprattutto un quoziente d'intelligenza inferiore alle tue reali possibilità. E come ho già accennato prima, è bene che sia così. Dall'atto della nascita fino a quando hai il buon gusto d'andartene, trovi nella società quello che ti occorre; è tuo desiderio farne parte, inserirti in quel mirabile equilibrio dove tutto è codificato, pattuito. Non ha bisogno della tua intelligenza, dell'inventiva che non hai perché non estrapolata da un bisogno vero, ne da voli pindalici non richiesti. Se vuoi vivere al meglio adagiati al buon senso del "se", fidati di lui. Il suo grande pregio è di mantenere in te quell'abulia sufficiente per continuare ad essere benaccetto. Non può permetterti di mangiare quella dannata mela. Adamo basta e avanza. È qui che viene il bello. Il pozzo che contiene il "se" ha delle perdite che esprimono insoddisfazione, rabbia, desiderio di rivalsa, di potere, d'angoscia per quel treno che è la vita e che corre troppo veloce perché tu lo possa prendere e modellare a tuo uso e consumo. In quelle stesse perdite scaturiscono peròaltre forme che volgono al bello, all'armonia, al desiderio d'azione. È quella panacea che il "se" lascia filtrare e che si compendia nella: "fuga dalla realtà".
Nel mio caso, fin dalla pubertà si sono succedute in ordine scalare: letteratura, musica e attrazione per la Montagna
Musica. Da sempre, fin da quando ho potuto incollare l'orecchio ad una radio (in tempo di guerra era proibito averne una) sono rimasto affascinato dalla musica "leggera" Barocca : gavotte, gighe, gironde, manfrine ed altre che ora mi sfuggono. Sono state loro a prendermi per mano e avvicinarmi a Mastro don Gesualdo, Corelli, Vivaldi e via via a percorrere le tappe dell'800 arrivando così a Stravinski, Ravel, Debussy. Di grande fascino, le rare volte che potevo ascoltare, erano le antiche ballate marinare della Gran Bretagna, unite alle struggenti melodie delle brughiere d'Irlanda. C'è una parola che le racchiude ed è: country. Vi è mai capitato d'ascoltare una ballata suonata all' arpa da Stivel? Ogni tanto m'adagio nella presunzione d'avere percorso in parte le stesse tappe musicali di De Andrè madrigali, country, ballate francesi...
Alla domanda di Spiro: se volessi associare il mio vissuto a Fosso, la risposta è nelle Vie che ho dedicato a Fabrizio De Andrè su al Belvedere. In particolare sui primi due CD. Rimanendo nell'ottica delle dediche, le Vie del Pulpito sono dedicate ai grandi capolavori del regista svedese Bergman.
Quelle al Tempio dell'Inutile (a destra della Capanna) sono dedicate ai primi 4 numeri del gioco della Morra. Se cominciando da sinistra verso destra leggete i nomi delle Vie di Sogno di un viandante (in alto, a sinistra dello Sblisgo) ne scaturisce una licenza amorosa leggermente pepata. Seguono, nel loro piccolo, le tre di Spaccato d'onda dedicate al mare e per finire le 5 sulla parte sinistra di Fosso vecchio (crollo della parete) dedicate al Vento.
Restrittivo? A un vecchio si perdona tutto.
Letteratura. I primi 5 anni, dalla nascita, li ho passati in ospedale. Gli altri 5, a seguire, nelle diverse Colonie dove il Comune mandava i figli dei poveri. Nella scuola media, mettendo in fila gli anni delle bocciature, sono andato per scaldare i banchi. Ero muto, si sapeva che sarei stato bocciato. Leggevo.
A 5 anni sapevo già leggere in maniera scorrevole: non ho più smesso, specialmente sui banchi di scuola. L'Odissea, La Divina commedia, L'Eneide, Manzoni, Thomas Mann, Tolstoj. Funzionava, avevo un mondo mio, nessuno poteva togliermelo. Perdura tutt'ora nell'infinito campo della Saggistica. A Fosso, a sinistra di Suspiria, ho dedicato una via ad un personaggio assolutamente centrato nell'arte della fuga: Il gabbiano Jonathan Livingston, preso dal libro di Bach: "IL gabbiano". Con "Illusioni", la storia di Cristo che scende sulla terra alla ricerca di uno sfigato che prenda il suo posto, Bach ha dato ai giovani d'america una panacea che regge e che tutt'ora raccoglie consensi.
Che altro posso dire? Spero di potere scansare quella marea di cancheri che mi verranno scagliati per questa mia logorrea letteraria. Chiedo scusa.
A presto.